Concerto alla Domus Ars


Martedì 11.09.18, alla Domus Ars, si è tenuto il concerto del Maestro compositore Ivano Caiazza, per voce recitante (Filippo Zigante), flauto (Raffaele Scala) e pianoforte (Tetyana Sapeshko), su testi di Augusta Gori. 


Durante il concerto 
Andare ai concerti è sempre un gran piacere, ascoltare i suoni dal vivo è una sensazione indescrivibile molto diversa dalle riproduzioni audio, lo stesso contesto si impone influenzando le nostre sensazione. In questo caso ad aggiungere interesse allo spettacolo, sono state le musiche del compositore presente in sala, senza nulla togliere ai concerti o recital degli esecutori di ogni tipo, assistere ad un concerto di musica contemporanea (musica viva) ci restituisce quel rapporto tra compositore e pubblico che nei concerti dei più grandi virtuosi si perde a favore della vanità dell'esecutore stesso che con il suo virtuosismo accentra l'attenzione del pubblico sul suo ego relegando la musica in secondo piano, a riprova di ciò basta rammentare i commenti dei dopo concerto in gran parte indirizzati all'esecutore. Purtroppo è raro ascoltare musica composta oggi, certo in altri generi la situazione è diversa, nel pop le canzoni sono attuali, nel jazz addirittura le improvvisazioni sono irripetibili, invece la composizione classica è più meditata così si ha la possibilità di comunicare con più razionalità e talvolta sembra di ascoltare oltre la musica fino alla mente del compositore.

Dopo due ore di traffico, semafori e infernali divieti si sosta, sono riuscito a parcheggiare, purtroppo in ritardo per assistere a tutto il concerto, per questo dirò solo che le musiche mi sono piaciute e che lo stile del compositore è stato variegato, musiche "sound track", neoclassicismo, modernismo e la capacità di sottolineare il testo recitato, sono state a mio parere le caratteristiche vincenti delle musiche proposte.

Spero al più presto di riascoltare il Maestro che ringrazio per le sensazioni che mi ha regalato.

Il fallimento della discografia

[...] Tra i tanti esempi di battaglie inutili e disgraziate - ingaggiate nelle peggiori condizioni e scegliendo le strategie più controproducenti - combattuto dallo stesso manageriato globale che ama citare Sunzi, spicca la "lotta alla pirateria musicale", che spesso è stata una guerra contro Internet tout court e, soprattutto, contro il pubblico. E' ormai parere diffuso che tale offensiva - in corso da quasi un decennio - si stia concludendo col suicidio dell'industria discografica.
Anziché fluire da monte a valle, aprirsi, innovare, intercettare in modo creativo prassi che si andavano diffondendo a macchia d'olio (la masterizzazione domestica di cd, lo scambio di file nelle reti peer-to-peer), i discografici hanno scelto la battaglia in campo aperto... contro i propri clienti. 
Repressione, minacce, denunce, tecnologie anti-copia, tasse su cd vergini e masterizzatori, lobbying per ottenere inasprimenti legislativi; i ras del disco hanno fatto il possibile per ottenere l'odio del pubblico, del consumatore di musica. Oggi sono visti come villains, gabellieri, parassiti, le loro prese di posizione sono accolte come l'arrivo dello Sceriffo di Nottingham alla festa di compleanno dei coniglietti.

"Cavalcando l'onda", rinunciando a parte dei profitti facili e a breve termine garantiti fin lì dal monopolio delle tecnologie, le major della musica avrebbero certamente limitato i danni, e forse a quest'ora avrebbero quadrato il cerchio di una "riconversione". La vittoria perfetta si ottiene evitando lo scontro. Soprattutto se il nemico è elusivo, inquantificabile, abile nell'usare strategie, e se si muove a proprio agio in un territorio ancora non mappato e in costante mutamento. E a maggior ragione se quel "nemico", in realtà, è il soggetto da cui dipendi e che ti tiene in vita. Che senso ha minacciare e querelare una persona per poi, dopo un istante, blandirla affinché compri il tuo prodotto? E' più plausibile che il minacciato si convinca della necessità di boicottarti, o addirittura sabotarti. (L'immagine è fin troppo consueta, ma non possiamo fare a meno di usarla: segare il ramo su cui si è seduti).

Gli spazi che le major non hanno occupato sono oggi colonizzati da altri soggetti, come MySpace e altri social network, e la gente continua a scambiarsi musica in rete. Il cd è considerato un supporto moribondo, il consumo di musica è sempre meno incentrato sull'acquisto di un prodotto discografico, e sempre più sull'interazione tra fruizione in rete ed esecuzione del vivo. Interazione su cui le major non hanno investito, preferendo la repressione. 
Eppure, che quella strategia fosse sbagliata e autolesionista era chiaro dal momento in cui le major fecero chiudere il primo Napster (2000). Gli osservatori più attenti - nel cui novero immodestamente ci poniamo - lo fecero notare subito e senza indugi. 

Il fatto che quei manager si siano lanciati a capofitto in un'impresa tanto squinternata  e infausta è la riprova che Sunzi non l'hanno letto, e se l'hanno letto non l'hanno capito. [...]

Dalla premessa di Wu Ming per l'Arte della guerra di Sun Tzu. Ed. Newton Compton Editori, cura e traduzione di Riccardo Fracasso.

Il rubato chopiniano secondo Franz Liszt

La famosa descrizione di F. Liszt sul rubato di Chopin: «Guardate quegli alberi: il vento gioca con le foglie, le fa ondeggiare; ma l’albero non si muove. Ecco il rubato chopiniano».

Vivaldi's Four seasons recomposed by Max Richter

Le quattro stagioni di Vivaldi ricomposte da Richter.

Il primo e secondo movimento della primavera sono una buona rielaborazione del materiale originale, sebbene Richter abbia rinunciato al tema principale, nei primi minuti si condensa tutta la sua bravura. I temi sono frammentati e riorganizzati con modifiche ritmiche, armoniche e “contrappuntistiche” che ricordano Vivaldi ma inseriti in un contesto minimalista.
L’estate (2 mov.) è un altro pezzo riuscito, la nuova tessitura rende il brano più etereo, l’orchestrazione funziona bene senza scadere in facili volgarità.
L’autunno (1 mov.) devo dire che funziona male, sembra di sentire un disco che si incaglia, ovviamente questo effetto è provocato dal ricordo dell’originale, con un materiale nuovo l'effetto sarebbe stato diverso. Il 2 mov. sembra essere solo una rimasterizzazione con suoni Pop, gonfi, ma che a me non dispiacciono, soprattutto pensando agli ubriaconi descritti da Vivaldi, sembra proprio di stare in uno stato di confusione, merito del forte riverbero usato. Il 3 mov. finalmente rivede la mano di Richter, sempre uguale, ma almeno è sua, o forse copiata da Glass e da tutta la scuola minimal.
L’inverno (1 mov) bella l’orchestrazione degli archi che introducono il violino, rende il brano più inquieto, invernale, si avverte proprio una sensazione di orrore che purtroppo cessa appena il tema incalza, dove a mio parere commette l’errore di scadere nell’effetto dei Rondò Veneziano con l’unica fortuna di non aver usato la batteria. Il secondo mov. invece mi piace, sostituendo l’accompagnamento originale con un suono continuo che sospende la melodia in un tempo quasi libero, la musica riprende l’inquietudine del primo mov. che aveva già dato i suoi effetti invernali. L’ultimo mov. risulta gradevole ma poco originale.

A mio parere il lavoro è interessante, soprattutto perché il compositore non si è limitato ad una semplice pettinatura dell’originale nel solo tentativo di riadattare l’opera al gusto odierno, sebbene questo risultato è stato raggiunto a pieno, Richter in questo lavoro si è spinto oltre, intervenendo sul materiale tradizionalmente considerato più musicale: ritmo, melodia, armonia, orchestrazione, ecc. Purtroppo non sempre con esiti positivi, a volte finendo nel riproporre un minimalismo un po’ vintage, forse per assecondare i quarantenni, altre nel comune errore di ridurre il barocco veneziano alla musica dei Rondò Veneziano. 

Premio David di Donatello alla "canzone" Abbi pietà di noi

Napoli si distingue e vince per pietà, certo non per la bellezza di questa canzone che fa veramente schifo, come per tante altre sue simili COMPAGNE il contenuto diventa contenitore. Personalmente l'autore non mi piace e so bene che nella parrocchia dei suoi adepti queste cose è bene non dirle... si rischia il linciaggio, e questi potenti, pare, siano arrivati a gestire il premio David di Donatello.

Il maestro elementare che aprì la strada all'Orff-Schulwerk in Italia

Luigi Mauro, nato a Muggia il 28 febbraio del 1905, si diplomò maestro elementare, ma la sua vera vocazione fu la musica. Sin da giovane studiò violino, poi viola e armonia al Liceo Musicale “A. Vram” di Trieste. Frequentò i corsi di contrappunto, fuga e composizione al Conservatorio “Giuseppe Verdi” nella classe del prof. Vito Levi, ma la svolta decisiva furono per lui (negli anni Sessanta) la scoperta della pedagogia e didattica di Carl Orff e l’incontro a Salisburgo con il compositore e pedagogo bavarese. Da allora Mauro dedicò la sua vita all’insegnamento musicale secondo l’Orff-Schulwerk, alla musicoterapia “attiva” di matrice orffiana e alla formazione degli insegnanti di musica nella scuola di base.
L’associazione A.L.MA. (acronimo di Associazione Luigi Mauro) Gruppo Studi Musicoterapia Trieste, è la naturale erede dell’omonimo Gruppo fondato negli anni Settanta da Luigi Mauro, allora massimo esperto italiano della didattica Orff. Oltre a musicoterapeuti diplomati nelle scuole aderenti al protocollo formativo della Confiam (Confederazione Italiana delle Associazioni di Musicoterapia), fanno parte dell’associazione anche musicisti, pedagogisti, educatori, psicologi, psicomotricisti e un medico neuropsichiatra infantile. Sempre ispirata dall’interesse del suo fondatore per la divulgazione e l’applicazione della musicoterapia, oggi l’A.L.MA. organizza corsi di formazione per insegnanti e genitori, laboratori di musica, di musicoterapia e di psicomotricità (con supervisione psicologica) indirizzati a bambini, adolescenti, adulti e anziani. Progetta inoltre interventi diretti a operatori e famigliari che si occupano delle persone malate di Alzheimer e altri per persone affette da patologia neurodegenerativa.
Due i momenti in cui si articola l’evento: il primo, intitolato La scuola ricorda il m° Luigi Mauro, avrà come protagonisti principali gli alunni della scuola primaria che si esibiranno in canti e danze in conformità a quella didattica Orff di cui Maestro fu sostenitore; nel secondo, Dalla musica alla musicoterapia: relazioni e laboratorio, la figura di Luigi Mauro verrà delineata da alcuni “allievi” e collaboratori, e si metterà in evidenza l’attualità della sua pedagogia multisensoriale.

Tratto da informatrieste.eu

L'elisir d'amore

11.10.14 - Cavatina "Udite, udite o rustici" (Dulcamara e coro)
Il regista napoletano Riccardo Canessa ha diretto L'elisir d'amore di Gaetano Donizetti al San Carlo di Napoli. Il rifacimento dell'opera è stato ispirato al presepe napoletano settecentesco e ai personaggi che lo popolano, così Nemorino è stato associato a Benino il pastore sognante del presepe, Dulcamara ad una sorta di Re Magio napoletano, scaltro e imbroglione. Il regista si è divertito anche ad inserire un personaggio nuovo la "capera", ispirato a Tina Pica e interpretato da un uomo travestito.

L'opera è oggi considerata di genere comico, ma forse il compositore e il librettista (Felice Romani) non sarebbero pienamente d'accordo con questa definizione, come lascia intendere la dicitura in partitura di "melodramma giocoso" forse un modo per evidenziare il carattere comico e patetico, in effetti, il personaggio di Dulcamara (il medico ciarlatano) è una figura decisamente comica sostenuta da una musica di influenza fortemente rossiniana, mentre la romanza cantata da Nemorino "Una furtiva lagrima" riporta in scena i toni patetici, questa dualità si avverte anche tra altre scene o addirittura nelle scene stesse. Senza dubbio l'influenza di Rossini gioca un ruolo importante, i passaggi allegri, i crescendo e le cadenze finali, da soli potrebbero facilmente ingannare l'ascoltatore, del resto per i compositori era difficile superare l'esempio del maestro pesarese, e così si preferiva citarlo se non con frasi tagliate dalle sue opere, almeno con atmosfere rossiniane meno esplicite.

Sul "Corriere dello spettacolo" un articolo a firma di Raffaella Tramontano, riporta le dichiarazioni del regista.

Dal 5 al 12 ottobre 2014 al Teatro di San Carlo - Napoli

Musica: Gaetano Donizetti; libretto: Felice Romani; Direttore: Giuseppe Finzi; Maestro del Coro: Salvatore Caputo; regia: Riccardo Canessa; costumi: Artemio Cabassi; Adina: Olga Peretyatko / Grazia Doronzio (11 ottobre); Nemorino: Giorgio Berrugi / Leonardo Cortellazzi (11 ottobre); Belcore: Mario Cassi; Dottor Dulcamara: Nicola Alaimo; Giannetta: Marilena Laurenza.

Cavalleria Rusticana

Teatro di San Carlo
Il 12.07.14 al San Carlo di Napoli (1737) sotto la regia di Pippo Delbono, è stata rappresentata Cavalleria Rusticana, la prima opera del Livornese Pietro Mascagni. lo spettacolo è stato interpretato sotto una nuova luce, il regista è riuscito a rinnovare l'opera inserendo le sue personali esperienze biografiche e sociali. Sulla scena "Bobò", attore naturale e consueto partecipante negli spettacoli del regista che lo ha sottratto dal manicomio di Aversa dopo 50 anni di reclusione. Le vicende personali sono inserite con riserbo, un racconto nel racconto fluido e silenzioso, raccolto nella dignità dell'esperienza apre una porta che proietta l'opera nel nostro tempo.

L'opera si apre con un prologo del regista in omaggio alla madre recentemente scomparsa, poi Delbono racconta l'incontro con "Bobò". La scenografia asciutta di Sergio Tramonti, depura l'opera dagli eccessi folcloristici, la Sicilia è presentata più reale e fedele alla novella verista di G. Verga, da cui è tratto il libretto. I cantanti indossano i costumi sobri di Giusi Giustino; solenni sono le loro mosse teatrali, intrise di sentimento religioso e di composta drammaticità.

La musica di Mascagni, diretta da Pinchas Steinberg, è ricca di tutta la cultura del suo tempo ma con occhio rivolto al glorioso passato del belcanto italiano. Si ascoltano moderne modulazioni, sonorità esotiche dal sapore spagnolo ricordano la Carmen di Bizet composta pochi anni prima; sul finale del duetto tra Alfio e Santuzza, quando la giovane rivela la relazione d'amore tra Lola (moglie di Alfio) e Turiddu, un accordo ripetuto due volte mi ricorda la modulazione finale del Bolero di Ravel; tra le curiose affinità musicali, mi è sembrato di avvertire tratti modali di origine americana e addirittura colori d'oriente. Questi legami con la musica di altre culture sono sicuramente da attribuire alle mie personali impressioni, ma è indubbia, l'alta cultura musicale che il compositore già possedeva in questa sua prima opera, dove a mio avviso si avverte il suo eclettismo. L'orchestra composta da un ricco organico include l'organo e le campane, usate come strumento per descrivere l'ambiente religioso. I colori orchestrali sono usati con sapiente eleganza, senza mai cedere alla tentazione pittoresca.

Musica: Pietro Mascagni; libretto: Giovanni Targioni -Tozzetti e Guido Menasci; Direttore: Jordi Bernàcer; Maestro del Coro: Salvatore Caputo; regia: Pippo Delbono; assistente alla regia: Pepe Robledo; scene: Sergio Tramonti; costumi: Giusi Giustino; luci: Alessandro Carletti. Santuzza: Anna Pirozzi; Turiddu: Rafal Davila; Alfio: Angelo Veccia: Lucia: Giovanna Lanza; Lola: Asude Karayavuz. Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo.

Vegetable Orchestra

Arcimboldo
L'orchestra nasce a Vienna nel 1998 e raggruppa dieci musicisti: Jürgen Berlakovich, Nikolaus Gansterer, Susanna Gartmayer, Barbara Kaiser, Matthias Meinharter, Jörg Piringer, Ernst Reitermaier, Richard Repley, Ingrid SchlÖgl, Marie Steinauer, Ulrich Troyer, Tamara Wilhelm, Christina Bauer, Lutz Nerger.

La preparazione dei concerti avviene nei mercati delle città dove si tengono le esibizioni, gli orchestrali fanno un giro di acquisti tra i banchi di ortaggi e verdura per scegliere gli alimenti più freschi, poi passano alla lavorazione e costruzione degli strumenti. Il difficile lavoro richiede tempo, bisogna tagliare, incidere e assemblare; la cosa più complessa è intonare gli ortaggi. Alla fine del concerto, tutti gli strumenti vengono cotti per preparare una zuppa speziata poi distribuita al pubblico.

Lo scopo non è divulgativo della cultura vegetariana, l'idea nasce per caso e il primo ortaggio suonato è stato un pomodoro; forse a spingere questi musicisti è il semplice gioco senza pretese concettuali. La musica prodotta da questa orchestra si avvicina alle scene elettroniche, come dimostra la cover Radioactivity dei Kraftwerk, che dall'originale prende solo alcune idee, il frammento melodico e qualche elemento ritmico, lasciando fuori la voce e l'armonia. Ancora meno riuscita e la loro versione della Radetzky-Marsch di Johann Strauss, in questo caso la musica è completamente disgregata, privata della sua forza e resa quasi irriconoscibile se non fosse per il fatto di essere così famosa, sembra eseguita da un'allegra compagnia in gita campestre; l'esperimento si riduce ad un divertente gioco di rifacimento o di mascheramento. Resta nelle composizioni originali la migliore espressione dell'orchestra, musiche spontanee intrise di ritmo, pensate con semplici cellule melodiche su piani, si direbbe modali, con effetti timbrici e dinamici a garantire movimento e contrasto nel fluire musicale, evitando così la noia. Se per molti l'associazione alla musica elettronica è facile, per me è più giusto pensare a gruppi di carattere ritmico, come gli Stomp, ma in una veste più tenue e delicata.

I violini della speranza

Un guasto costrinse il macchinista a fermare il treno, costipati nei vagoni c'erano 65000 prigionieri destinati ai lager, molti di loro morirono di stenti. Un musicista a bordo del treno riuscì a comunicare con l'esterno e ad affidare il suo violino ad un operaio francese, pare gli abbia detto: "dove andrò, non mi servirà".

Si tratta di violini sopravvissuti alla Shoah, strumenti appartenuti agli ebrei deportatati nei campi di sterminio come Auschwitz, Monowitz, Birkenau. Questi musicisti furono costretti a suonare mentre assistevano alle atrocità inferte ai detenuti, suonavano, con animo spezzato dalle violenze, musiche spensierate per allietare le feste dei nazisti o per coprire i lamenti provenienti dalle camere a gas. L'esperienza drammatica li fece sentire complici dei delitti, così si instillò in loro il senso di colpa, in seguito proiettato sui violini divenuti simbolicamente strumenti del male.

Il liutaio israeliano Amnon Weinstein, da anni si occupa di recuperare i violini appartenuti agli ebrei deportati, cercando di ricostruire le storie dei loro proprietari con notevole difficoltà, ma a quanto pare per il liutaio non è importante conoscerle perfettamente, conta più ridare voce agli strumenti interrompendo il penoso silenzio con la musica, per ricordare il pericolo di rinascite neo-naziste spesso sostenute da pericolose teorie negazioniste.

David Russell, professore di musica presso l'Università del North Carolina, sostiene che il violino prende il suono dal suo musicista. Questo concetto è difficile da comprendere per coloro che non suonano e spesso anche i musicisti fanno fatica a crederci, fin quando l'esperienza e gli anni di studio confermano il risultato. In realtà questo concetto si può allargare a tutti gli strumenti, specialmente a quelli costruiti in legno, un materiale che matura negli anni la sua capacità di vibrare, e poiché le vibrazioni sono determinate dal modo di suonare, si comprende quanto il musicista sia importante in questo processo di maturazione. Suonare i violini appartenuti agli ebrei deportati, significa ridare voce a quelle persone, recuperare gli anni impiegati a plasmare il suono del proprio violino.

Guarda il reportage di Voyager Factory - RAI 2
Guarda il concerto su RAI 5

Concerto al palazzo Zevallos del duo Nardis Morra

Domenica 15 settembre 2013 alle 11 del mattino, il duo composto dal tenore Marcello Nardis e dal chitarrista Salvatore Morra, ha eseguito le "Songs from the Chinese" di Benjamin Britten, una raccolta di liriche scritte su testi del poeta Arthur Waley, a seguito dei viaggi in Asia del compositore inglese, e alcune "Songs and aries" di John Dowland.

Una esecuzione precisa e raffinata. La chitarra nella veste del liuto non ha risentito di scarsa eleganza e morbidezza del suono, sebbene mancante dei bassi che presenti sul liuto avrebbero sostenuto meglio il tenore. Come sempre le trascrizioni sono un lavoro difficile e delicato, ma hanno svolto nella storia  un compito importante, talvolta utili per adattare la musica alle varie esigenze strumentali presenti nelle chiese, altre, per mera esigenza di costume, basti pensare agli arrangiamenti di M. Giuliani, tratti dalle arie d'opera più celebri del suo tempo. Il lavoro dei due musicisti resta valido per spontaneità e freschezza, oltre che per il gusto di presentare al pubblico, non senza coraggio, musiche poco suonate e prive di quei virtuosismi ottocenteschi che annoiano sia il pubblico elitario sia quello d'occasione.

La Scalza Banda

Sulle orme delle bande popolari si fonda il progetto della Scalza Banda nel quartiere Montesanto di Napoli. L'iniziativa accoglie un numero considerevole di bambini e bambine a partire dai cinque anni d'età, provenienti da diverse estrazioni socio-culturali. L'eterogeneità del gruppo, rivela quanto la banda musicale sia importante in termini d'integrazione culturale, attuando quei principi riservati alle scuole pubbliche spesso carenti di spirito d'iniziativa e d'entusiasmo. I partecipanti sono seguiti gratuitamente da un gruppo di maestri esperti, disposti a regalare conoscenza e passione ai bambini, senza alcuna distinzione.


Con il tempo il progetto ha preso forma, realizzando la struttura che si prefiggeva inizialmente, sono stati creati gruppi di lavoro, distinte le fasce d'età, includendo nella formazione anche classi di adulti, spesso, genitori dei più piccoli che condividono con il loro figli questa fantastica esperienza. I partecipanti imparano a suonare uno strumento, assistono a workshop musicali e sono accompagnati ad ascoltare concerti live. Questa realtà musicale ed educativa, va inserita nel ventaglio della società costruttiva della città che con impegno e dedizione, lavora per migliorare la condizione sociale di coloro che partecipano direttamente e testimonia, quanto sia possibile ottenere lavorando con amore in ogni situazione, anche quelle denigrate per ottuso pregiudizio.

Perché è importante fare musica

Alcuni studi di affermati scienziati, dimostrano l'importanza della musica nell'attività cerebrale, sostenendo che nessuna delle attività complesse che siamo in grado di svolgere è così complessa come un'esecuzione musicale espressivamente significativa. Vi è chiara evidenza che se studiare è necessario per apprendere, studiare bene è difficile. Di fatto gli apprendisti esecutori, senza una adeguata e competente guida, tendono a utilizzare strategie che sono chiaramente inefficaci.

R. Shadmher e H. H. Holcomb, 1997 - Hanno mostrato che l'acquisizione di un'abilità motoria complessa, quale la musica, sviluppa le aree cerebrali pertinenti, inoltre, che le ore che seguono la pratica musicale, migliorano le capacità cerebrali.

J. A. Sloboda, 1998 - Scrive: purtroppo la rozza psicologia che circola negli ambienti musicali sembra fatta apposta per trasformare le domande in misteri. Concetti quali talento e ispirazione sono in genere usati per porre la parola fine ai tentativi di comprendere e analizzare i processi cognitivi. Bisognerebbe parlare di studio e passione.

P. Monaghan, 1998 - Scrive: non vi è alcuna evidenza scientifica che ci permetta di affermare che i bambini di 3-4 anni imparino meglio o che sia consigliabile iniziare a studiare prima dei 10 anni affinché il cervello si adegui alle necessità dei compiti musicali.

C. Pascual, 2001 - Mostra come lo studio di uno strumento porti a un nuovo assetto delle mappe di rappresentazione motoria e sensitiva e delle loro connessioni, e probabilmente, a molti cambiamenti microstrutturali del cervello. In altre parole, la musica migliora le capacità motorie e sensitive, proprio perché modifica le strutture cerebrali interessate.

G. Schlaug, 2001 - Ha mostrato che anche il corpo calloso del cervello (l'insieme di fibre che connette i due emisferi) è più grande nei musicisti rispetto ai non musicisti.

J. A. Parsons, 1994 - Recentemente ha mostrato come la comprensione dell'armonia, della melodia e del ritmo, impieghino aree cerebrali e cerebellari (cervelletto) diverse e specifiche.

Tratto da: Insegnare uno strumento "Come fa il cervello ad apprendere atti motori complessi?" di Sandri Sorbi, Ed. EDT

Faraualla

Faraualla è un quartetto vocale femminile nato nel 1995 che propone un interessante lavoro fatto di acrobatici giochi vocali intrisi di espressività pura e potente. L'uso delle sole voci, talvolta accompagnate da percussioni etniche, rievoca ambienti primitivi, in contrasto con le capacità polifoniche e con il semplice contrappunto gestito con lucida chiarezza e raffinata eleganza stilistica. In questa musica il sentimento umano si palesa con sobrietà, senza eccessiva teatralità. Il genere a cappella in cui sono confinate non rende giustizia al lavoro delle musiciste, piuttosto impegnate nella ricerca artistica che arricchisce la voce, capace di rivelarsi strumento musicale non solo adatto alla melodia lineare e bella, fatta di note congiunte e armonie tonali, ma di costruire pattern ritmico-armonici con fonemi di ogni tipo. La voce assume connotati di autonomia espressiva evitando l'imitazione già ampiamente sperimentata dai Swingle Singers.



Discografia: "Faraualla" – Amiata Records (1999) / "Sind'" – Amiata Records (2002) / "Faraualla, Musiche popolari dell’Italia Meridionale" (Live al Quirinale) – Raitrade (2007) / "Sospiro" - Felmay (2008) / "Miragre!" Calixtinus feat. Faraualla - Digressione Music (2012) / "Ogni Male Fore" - Digressione Music (2013)

El Sistema Abreu


Gustavo Dudamel
Mentre gli economisti di tutto il mondo si stanno domandando se davvero gli aiuti stanziati negli anni siano serviti allo sviluppo dei Paesi più poveri, e se i complicati progetti delle organizzazioni internazionali abbiano mai prodotto un qualche risultato, il sistema Abreu fa tornare in mente un antico detto cinese: "Se dai un pesce ad un uomo, si nutrirà una volta. Se gli insegni a pescare, mangerà tutta la vita. Se i tuoi progetti valgono un anno, semina il grano. Se valgono cent'anni, istruisci le persone".


Il sistema Abreu, ovvero il progetto sociale ideato da Josè Antonio Abreu in Venezuela, ha prodotto risultati inimmaginabili, ben 140 orchestre infantili e 150 giovanili. Iniziato nel 1975 come utopico progetto per il recuperare dei ragazzi dal disagio sociale ed economico del Venezuela, oggi è una realtà programmata, un sistema appunto, riconosciuto dal governo con l'importante funzione di recuperare i giovani dal disagio sociale. Come spiega il maestro Abreu, suonare in orchestra non significa solo studiare musica, significa "entrare in una comunità, in un gruppo che si riconosce come interdipendente", dove si impara a collaborare perseguendo uno scopo comune, nel rispetto degli altri sviluppando il concetto del "noi" piuttosto che lo sfrenato individualismo del mondo contemporaneo. La partecipazione gratuita e libera al sistema Abreu, permette l'accesso a chiunque voglia dedicarsi alla musica, e da qui molti sono diventati professionisti della musica come il giovane direttore Gustavo Dudamel. 

Purtroppo, nonostante sia ormai chiara l'importanza della musica e dell'arte, nell'educazione e nella crescita dei giovani, che spesso trovano motivo di rivalsa in attività di creazione collettiva e individuale, l'Italia è decisamente arretrata. La musica come educazione non è considerata, si pensi alla situazione in cui versano le scuole musicali, dove fare musica è considerata una semplice attività ricreativa, o tenuta come specchietto delle allodole per il prestigio della scuola. Purtroppo, nel paese di Verdi, Puccini, Cimarosa, Pergolesi, Paganini, Vivaldi, Geminiani, Lulli, e tanti altri musicisti, la musica nell'epoca contemporanea è appannaggio di pochi, spesso ricchi presuntuosi ai quali piace avere la figlia che suona il piano o la sindrome di Mozart, ovvero: mio figlio è un genio!

Orchestra riciclata

Siamo in uno slum del Paraguay, baraccopoli costruita a ridosso di una discarica, un luogo in cui noi esseri felici di una terra che ci permette il lusso di lamentarci di abiti fuori moda e di scegliere diete personalizzate, non resisteremmo un secondo. Proprio lì, nella assoluta povertà, l'uomo è in grado di sognare ciò che lo distingue dall'animale e lo rende unico, l'arte. In questo contesto il lavoro di Romero e Flavio Chavez punta a costruire una speranza per i giovani di Asuncion con la formazione di un'orchestra. I rifiuti nelle mani degli artigiani diventano improbabili strumenti musicali in grado di emettere suoni gradevoli e speciali, potenti e magici, capaci di dare sogni e speranze ai giovani. Ogni sorta di rifiuto dalle lattine al nylon, è assemblato a forma di strumento musicale, non per i consueti oggetti da percuotere bensì alla volta di violini, violoncelli, flauti, clarinetti e quanto la fantasia e la voglia di riscatto sono in grado di generare. Il quotidiano la Repubblica, ha dedicato un articolo correlato di immagini e video che vale la pena leggere, altre info puoi trovarle su italiamagazineonline dove è dedicato un bell'articolo scritto da Mariano Colla.